Si chiama Volta ao Alentejo, ma solo sulla carta, per tutti è l’Alentejana. È così da trentasette anni, l’ultima edizione si è corsa dal 20 al 24 marzo: sei tappe in cinque giorni. Nell’albo d’oro della competizione figura anche la vittoria di Miguel Indurain nel 1996, ma più che per il blasone della gara a tappe, correre qui è soprattutto un modo per scoprire l’Alentejo, regione a sud del Portogallo, tra Spagna, Oceano Atlantico, sopra il ben più celebre Algarve. È terra di emigrazione, di uomini e donne partiti verso Lisbona e l’estero in cerca di fortuna e lavoro, di conquiste arabe e reconquiste cristiane, di case vinicole e di produttori di olio, di città fantasma e di Cante Alentejano, patrimonio culturale e immateriale dell’umanità Unesco dal 2014.
È quello che viene cantato all’inizio di ogni tappa, un canto corale che accompagnava tra le fine dell’Ottocento e i primi del Novecento chi lavorava nei campi e poi portata nelle piazze delle città durante le feste di paese e i momenti di svago. Dopo la Seconda guerra mondiale, con la progressiva meccanizzazione dell’agricoltura e con la diffusione della radio e poi della televisione, questo canto tipico, soprattutto nel sud della regione, subì un declino che parve a molti inevitabile. C’hanno pensato associazioni culturali e turistiche a riportarlo in auge. Nel 2014 un docufilm di Sergio Tréfaut, Alentejo, Alentejo, che narra le gesta di un gruppo di amanti di questo canto corale, lo ha fatto conoscere in tutto il Portogallo. Il viaggio della corsa non assomiglia a questa terra raccontata in Levantado do Chão (Una terra chiamata Alentejo) dal premio nobel per la letteratura José Saramago. Un Alentejo latifondista e agricolo, qui, almeno per qualche giorno, è altro, un rincorrersi di biciclette sino a Évora, il capoluogo della regione. A conquistare la corsa è stato João Rodrigues della W52-FC Porto, da quest’anno squadra Professional Continental (la serie B del ciclismo mondiale), corridore nemmeno venticinquenne che il giorno prima aveva ipotecato la vittoria conquistando la mini cronometro di Castelo de Vide, piccolissima e bellissima città assolutamente da visitare (definita la Sintra dell’Alentejo) dove vi è un castello, circondato da un agglomerato di case candide e che risalta nel paesaggio circostante. Dall’alto, si vede la pianura alentejana, rivelando tutto il suo splendore: piccoli villaggi punteggiano campi che si estendono a perdita d’occhio e a soli venti chilometri di distanza, si scorge Marvão, altra località magnifica (dove però quest’anno non è passata la Volta ao Alentejo a differenza di altre edizioni) a due passi dalla Spagna. A Castelo de Vide inoltre, è nato Fernando José Salgueiro Maia, noto semplicemente come Salgueiro Maia, ufficiale portoghese e capitano coraggioso durante la Revolução dos Cravos (Rivoluzione dei garofani) del 1974 e che diede un contributo decisivo al rovesciamento del regime dittatoriale esistente. Tornando alla cronaca della corsa, sul podio finale Rodrigues ci è salito con il Traje, il tipico copricapo che fu del pastore alentejano, quello sotto il quale António Teixeira Correia, radiocronista portoghese famosissimo in patria, ha raccontato la corsa sulle frequenze di RTP-Antena 1, perché lontano dalla corsa il ciclismo in Portogallo prima di essere immagine è ancora voce. Una voce che raggiunge tutto il paese. L’Alentejana è corsa piccola, ma di interesse nazionale. A organizzarla è la Cimac (Comunidade Intermunicipal do Alentejo Central) e la Podium Events, la società organizzatrice della Volta a Portugal, il Giro d’Italia portoghese. O ancor meglio il Tour de France lusitano. È alla Francia infatti che il ciclismo a Lisbona e dintorni ha sempre guardato e non solo perché il leader della classifica indossa la camisola Amarela, la maglia gialla (stesso colore sia per chi vince la Volta a Portugal e la Volta ao Alentejo). In cinque giorni di gara, la corsa ha toccato il settatanta per cento dei comuni della regione ed è stata preceduta sempre da Joaquim Gomes, che prima di diventare direttore tecnico della sezione ciclistica della Podium è stato un gran corridore, almeno in Portogallo, è riuscito a correre il Giro d’Italia, a vincere due edizioni della Volta a Portugal e un’Alentejana nel 1988. La Volta ao Alentejo è corsa primaverile per esigenza. Non c’è momento migliore dell’anno per pedalare in queste zone: d’inverno l’escursione termica è considerevole e le temperature di notte e al mattino sono oltremodo rigide, mentre in estate i picchi superano abbondantemente i quaranta gradi. Quest’anno la corsa è partita da Montemor-o-Novo e ha raggiunto Moura, sulle sponde del Rio Guardiana, uno dei molti fiumi che nascono in Spagna, diventano confine tra i due paesi prima di raggiungere il Golfo di Cadice e l’Oceano Atlantico che bagna le coste del Portogallo. A Moura il basco Enrique Sanz è arrivato a braccia alzate e ha indossato la prima maglia gialla. Il gruppo è giunto in picchiata tra i palazzi che ancora ricordano, per gusti mai veramente trasformatisi, il dominio arabo che tra il dal 711 al 1249 aveva trasformato queste zone nel Gharb al-Andalus, ossia “l’occidente di al-Andalus”. Moura è soprattutto però terra di colline, olio buono – che si fregia di essere tra i migliori dello stato –, e vino apprezzato in tutto il territorio: questo paesino ha lanciato lo scorso anno l’iniziativa “Moura terra Mãe do Azeite do Alentejo”, all’interno di OlivoMoura, la feria nazionale dell’oleicultura che si svolgerà qui anche quest’anno a maggio, giungendo alla XVI edizione. Spinti dalla curiosità, in un tardo pomeriggio dopo la fine della prova, siamo andati alla ricerca di un produttore di olio, ora, va detto, che la segnaletica stradale portoghese non è tra le migliori d’Europa, almeno in Alentejo, cartelli che ti indicano una direzione e subito dopo altri che contraddicono l’indicazione precedente e la tecnologia ti può aiutare fino a un certo punto; alla fine siamo comunque riusciti a trovare chi produceva e vendeva litri di olio in loco e c’è un particolare che non c’è sfuggito, il Traje alentejano, c’era anche lui, era arrivato qualche minuto prima di noi, António Teixeira Correia era di casa in questo in oleificio. Prima di giungere all’arrivo di Moura, i corridori, invece, hanno pedalato per Reguengos de Monsaraz, uno dei luoghi più importanti dell’enologia lusitana. È qui che si produce il vinho tinto alentejano, uno dei rossi più apprezzati nel paese, modello anche per la gestione della produzione. La Carmin, una cooperativa agricola fondata nel 1971 da circa sessanta viticoltori, è stata studiata in tutta Europa come riferimento per la gestione sociale del territorio. E di vinho tinto ne girava parecchio al Clube della Volta, uno spazio all’aperto che si trova ogni mattina vicino alla partenza di tappa e dopo le due di pomeriggio a due passi dal traguardo di giornata. È lì che organizzatori, ex ciclisti, autorità locali e tifosi si ritrovano per assaggiare i migliori prodotti del territorio, una prassi che, almeno dagli anni Cinquanta in poi, si è diffusa in tutto il mondo ciclistico. D’altra parte, come ha scritto lo scrittore Elias Canetti, «se la bicicletta in corsa si gusta il territorio, il suiveur non può far altro che assaggiare e apprezzare i suoi frutti». Il secondo giorno della Volta, il giro è ripartito da Mértola e l’arrivo di tappa è stato a Odemira sulla costa atlantica, Enrique Sanz dell’ Euskadi, ha vinto ancora, in volata, bissando il successo del giorno precedente e indossando ancora la Camisola Amarela; qualche ora prima della partenza, al Clube della Volta, sempre tra un bicchiere di vino e diversi tipi di formaggi locali, Joaquim Gomes, raccontava di una manifestazione che si svolge a Mértola dal 2001, ogni due anni e nel mese di maggio, è il Festival Islâmico de Mértola, ovvero enogastronomia, teatro e musica ma anche tradizione, storia e prodotti tipici di questo paesino situato all’interno del Parque Natural do Vale do Guardiana, a circa venti chilometri dal confine spagnolo e che fu islamica e poi di nuovo cristiana insieme a tutto il Portogallo nel 1238, grazie alla Reconquista. Dopo Mértola, il baixo alentejo e la costa atlantica, la corsa ha virato a nord e il terzo giorno dell’Alentejana non ha regalato grandi emozioni, se non a Gabriel Cullaigh del Team Wiggins che ha vinto allo sprint la terza prova del giro,Santiago do Cacém–Morae anche se per un solo giorno anche a Cullaigh si è ritrovato in maglia gialla e con il Traje in testa. Si percepiva tutta la sua felicità nei suoi occhi quando è salito sul podio. Momenti di tranquillità prima della giornata decisiva, quella di sabato 23 marzo, quella delle due semitappe in un giorno. I corridori sono partiti intorno alle dieci di mattina da Ponte de Sor, prima di sfilacciarsi sulla breve salita di Cabeço de Mouro, a circa sei chilometri dall’arrivo di Portalegre. Un ascesa breve, un gran premio della montagna di seconda categoria, che però taglia gambe e fiato: due chilometri con una pendenza media del 14% che arrivano in alcuni tratti sino al 18%. È lì che Luís Mendonça della Rádio Popular-Boavista, Raúl Alarcón della W52–FC Porto e Sérgio Higuita, giovane scalatore colombiano della Fundación Euskadi hanno provato a fare il vuoto. Quest’ultimo a Portalegre è transitato per primo, davanti a Mario Gonzalez e Tobias Foss, rientrati in discesa sui primi. Mendonça invece ha vestito la camisola amarela. Per il portoghese però la gloria è durata poco, appena qualche ora, perché negli 8,4 chilometri nel favoloso palcoscenico di Castelo de Vide, tra le stradine strette che delimitano il nucleo storico della Judaria, il quartiere ebraico, João Rodrigues, che sogna di correre un giorno nel World Tour, ha conquistato tutto il conquistabile: tappa e maglia. Castelo de Vide, abbiamo già detto: dove c’è un Castello e le sue fortificazioni da visitare dove c’è un quartiere ebraico storico , uno dei più importanti esempi della presenza degli ebrei in Portogallo, risalente al XIII secolo, al tempo del Re Dom Dinis detto o Lavrador, l’Agricoltore. E poi Luís Mendonça invece, ci teneva moltissimo a ripetere il successo dello scorso anno e a essere il primo corridore della storia a entrare due volte nell’albo d’oro dell’Alentejana. Nonostante un infortunio alla mano una settimana prima dell’inizio della competizione, ha voluto partecipare comunque al giro e per poco, non riusciva nell’impresa. Ci riproverà l’anno prossimo. Eça de Queiroz, geniale scrittore della modernità dell’ottocento portoghese scrisse che «il Portogallo è Lisbona e il resto è paesaggio». Quasi tutto L’Alentejo oggi, è un luogo spopolato e che cerca di rilanciarsi attraverso il turismo e con diverse manifestazioni e iniziative culturali, cercando di sfruttare e di approfittare al massimo del traino di città, come Lisbona e Porto, apprezzatissime e sempre più conosciute dai turisti di tutto il mondo. È anche in questo contesto che si muove questa corsa, ormai prossima ai quarantanni, come la Volta ao Alentejo, una competizione che aiuta a scoprire il ciclismo portoghese, magari di serie B ma validissimo, ma soprattutto regala paesaggi e luoghi mozzafiato, al seguito di una carovana che tocca quasi tutto il territorio alentejano. E se l’ultima tappa del giro è stata una passerella, partita da Portalegre e giunta a Évora, nel pomeriggio di domenica 25 marzo, un’altra vittoria andava al basco Enrique Sanz che in volata si aggiudicava la terza vittoria di tappa in quest’edizione del giro, qualche ora dopo la fine della competizione ciclistica, diversi giornalisti e addetti ai lavori si ritrovavano alla Sociedade Harmonia Eborense. È un’associazione dove si organizzano durante l’anno eventi culturali e popolari, frequentata anche dai più giovani e situata nel centro storico, a Praça do Giraldo, nella piazza centrale. Si è cantato il cante alentejano e anche se non è apparsa la figura di António Teixeira Correia c’è stato comunque chi ha indossato il Traje, ovviamente bevendo del vinho tinto.
Pubblicato su Il Foglio (03/04/2019)