Domenica 4 agosto 2019: una giornata calda in Portogallo. I ciclisti partecipanti all’ottantunesima edizione della Volta a Portugal, la maggior competizione a tappe portoghese, transitano per Covilhã intorno alle cinque di pomeriggio. Si raggiungono i 32 gradi ma la temperatura percepita è maggiore, è la quarta tappa di dieci previste, manca l’ultima salita, quella decisiva, che fa male a gambe e polmoni. Covilhã si trova sul versante sud-est della Serra da Estrela, il maggior gruppo montuoso lusitano e ora i corridori, dopo essere partiti da Pampilhosa da Serra (paese che fa parte del distretto di Coimbra) intorno alle 13.20 ed aver pedalato già per circa 125 km, devono affrontare la parte finale del percorso.
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Quella corsa in bicicletta nelle terre di José Saramago
Si chiama Volta ao Alentejo, ma solo sulla carta, per tutti è l’Alentejana. È così da trentasette anni, l’ultima edizione si è corsa dal 20 al 24 marzo: sei tappe in cinque giorni. Nell’albo d’oro della competizione figura anche la vittoria di Miguel Indurain nel 1996, ma più che per il blasone della gara a tappe, correre qui è soprattutto un modo per scoprire l’Alentejo, regione a sud del Portogallo, tra Spagna, Oceano Atlantico, sopra il ben più celebre Algarve. È terra di emigrazione, di uomini e donne partiti verso Lisbona e l’estero in cerca di fortuna e lavoro, di conquiste arabe e reconquiste cristiane, di case vinicole e di produttori di olio, di città fantasma e di Cante Alentejano, patrimonio culturale e immateriale dell’umanità Unesco dal 2014.
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Pantani dopo Pantani. Storia e leggenda di un dio terrestre
«Io non mi riconosco nelle due fazioni, quella dell’angelo e quella del diavolo. Troppo estreme, in un certo senso troppo comode. Mi riconosco in un libro: Pantani era un dio». (Gianni Mura, giornalista e scrittore).
Quattordici anni fa, nel giorno di San Valentino, nel giorno degli innamorati, se ne andava un amore sportivo e smisurato per tutti gli appassionati di ciclismo e di sport, moriva Marco Pantani. Soprannominato “il Pirata”, bandana colorata sul capo e orecchino, è stato l’ultimo dei ciclisti, nel 1998 (dopo Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Stephen Roche e Miguel Indurain), ad aver realizzato l’accoppiata Giro-Tour, la vittoria al Giro d’Italia e al Tour de France nello stesso anno.
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Alfonsina Strada, la ciclista che salvò il Giro d’Italia
È stata la prima e unica donna che abbia partecipato al Giro d’Italia maschile. Anno 1924: Alfonsina Morini, poi Alfonsina Strada dopo il matrimonio con Luigi Strada. Nasce il 16 marzo del 1891 a Riolo di Castelfranco Emilia, da una famiglia povera e numerosa. A dieci anni scopre la bicicletta: una vecchia bici portata in casa dal padre qualche tempo prima. Sarà amore a prima vista. Negli anni successivi riesce ad allenarsi con regolarità correndo sulla via Emilia e ogni domenica gareggia con altre donne: in breve tempo arriva ad essere considerata la miglior ciclista italiana.
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Rui Sousa, il campione senza vittorie più amato dai portoghesi

Ci sono atleti che inseguono una vittoria durante tutta la loro carriera, senza mai riuscirci. Magari ci arrivano vicino, ma quella vittoria che sognano fin da bambini gli sfugge di mano per un soffio. L’emblema di questo prototipo di campione senza vittoria nel ciclismo è Rui Miguel Sousa Barbosa, chiamato dai cronisti sportivi semplicemente Rui Sousa.
Il ciclista lusitano, conosciuto in patria e praticamente sconosciuto fuori dai confini nazionali, è andato tante volte vicino alla vittoria finale della Volta a Portugal, la maggior competizione ciclistica a tappe portoghese che si svolge generalmente tra la fine di luglio e la prima settimana di agosto.
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