Vite senza radici ai due lati delle Ande

Alejandra Costamagna – foto di Gonzalo Donoso

Considerata una delle più importanti voci latinoamericane della letteratura contemporanea, Alejandra Costamagna è tornata a fine maggio nelle librerie italiane con Il Sistema del Tatto, edito da Edicola Ediciones, (traduzione di Maria Nicola), casa editrice che si divide tra Ortona e Santiago del Cile e che aveva già pubblicato la scrittrice cilena nel 2016 con la raccolta di racconti C’era una volta un passero. Abbiamo contattato e intervistato Alejandra Costamagna per parlare con lei del suo ultimo romanzo, una storia famigliare che coinvolge la stessa autrice, la situazione politica e l’emergenza sanitaria in Cile dovuta al Coronavirus.

La sua biografia personale e famigliare è stata fondamentale per scrivere Il Sistema del Tatto, quali emozioni ha provato durante la stesura del libro?

Ci sono molti dettagli reali della mia famiglia nel romanzo, la sorella di mia nonna ha vissuto veramente l’esperienza che ho descritto nel libro, strappata dalle proprie radici e dagli affetti della sua terra, la mandarono da un continente all’altro dopo la guerra. Nel 1910 i genitori di mio nonno erano già in Argentina, successivamente mio padre e mia madre giunsero in Cile nel 1967 per questioni politiche. Tutti questi spostamenti mi hanno provocato una grande inquietudine. Fra tutti i personaggi del Sistema del Tatto, c’è Nelida che s’impone con una forza speciale, perché ci sono silenzi e resistenze che raccontano una vita più complessa e torbida rispetto a quella che appare in superficie ed è a partire da lei che è stata costruita la trama. Durante la scrittura ho assorbito questa storia e l’esperienza del sentirsi fuori luogo, una sensazione che mi ha pervaso e scosso molto.

Una delle voci del suo romanzo è Ania; suo padre le chiede di attraversare le Ande per portare l’ultimo saluto al cugino che sta morendo in Argentina. Attraverso degli indizi rinvenuti in una vecchia scatola a Campana, città a nord ovest di Buenos Aires dove ha vissuto l’infanzia, inizia per lei un viaggio indietro nel tempo. Lei che rapporto ha con i ricordi di quando era bambina?

Gabriela Mistral diceva che «posso correggere nel mio cervello e nella mia lingua ciò che ho appreso durante le età difficili – adolescenza, gioventù, maturità – ma non posso cambiare quello ho appreso e ricevuto durante l’infanzia». Quest’idea, oltre ad essere affascinante, è assolutamente veritiera. La scrittura, almeno per me, è un esercizio che mi aiuta a ricordare, i ricordi dell’infanzia però sono spesso alterati da quello che ci hanno raccontato i nostri genitori. Ricordare dunque, è anche costruire ricordi. Non è importante ricercare la verità oggettiva, perché è impossibile riprodurre un passato obiettivo e senza contraddizioni.

All’interno del romanzo alcune pagine sono dedicate al manuale dell’emigrante italiano in Argentina di inizio secolo scorso, una serie di consigli e di codici di comportamento per chi si apprestava a sbarcare dall’altra parte del mondo. Sono mai esistiti secondo lei dei consigli giusti per chi si trova ad affrontare una vita completamente differente?

I brani tratti da Il manuale dell’emigrante italiano che inserisco nel Sistema del Tatto, ci raccontano il perché si incentivava l’emigrazione europea in Argentina: per motivi economici. Era importante popolare le campagne ed impiegare i nuovi arrivati nella produzione e, molto velatamente, per combattere il meticciato, rimpiazzando la popolazione nativa con una più “civilizzata”. Per chi arrivava dall’altra parte del mondo, spesso le aspettative di quest’America promessa si scontravano con la realtà. Alla fine per testardaggine e con grandi sacrifici, la maggior parte riusciva comunque ad integrarsi nel nuovo mondo. I flussi migratori e gli spostamenti forzati di oggi obbediscono invece ad altre contingenze. Alla violenza estrema di molti luoghi di origine si somma l’assenza di stimoli e di accoglienza nei paesi di approdo. Nonostante queste differenze a livello mondiale esiste tuttavia una coincidenza in termini di sradicamento, non esiste però nessun tipo di consiglio giusto che faciliti un’integrazione ed insegni a diventare “altri” in luoghi stranieri . Lo vediamo in queste settimane in Cile con la pandemia: c’è una completa mancanza di protezione per i migranti, sono obbligati ad uscire in strada perché dipende dalla giornata lavorativa la loro sopravvivenza quotidiana.

A questo punto non posso non chiederle com’è attualmente la situazione in Cile, uno dei paesi più colpiti dal Coronavirus in America Latina.

C’è molto tristezza perché le cifre dei contagiati e dei morti non fanno altro che aumentare giorno dopo giorno e perché il nostro sistema sanitario pubblico è cosi debole che sta già sta collassando. C’è anche tanta rabbia perché il nostro governo, dopo aver visto cosa stava succedendo in Italia e in Europa, avrebbe avuto il tempo per gestire questa situazione in maniera completamente differente da come ha fatto. Ha preferito salvaguardare gli interessi delle grandi imprese per assicurare le condizioni di mercato e si sono rifiutati di dare ai cittadini che vivono sotto la soglia della povertà dei veri e sostanziali aiuti economici. È stato poi davvero incredibile quello che è accaduto a fine aprile, mentre la curva dei contagi si alzava, il governo annunciava che si doveva rientrare al lavoro e a scuola e che si poteva uscire tranquillamente, bastava utilizzare le mascherine ma la cosa più assurda, rimane il metodo con i quali volevano conteggiare i morti, considerandoli “recuperati” perché non potevano più trasmettere il virus. Hanno dovuto fare retromarcia e disporre una quarantena quasi totale a Santiago e nel resto del paese, senza ovviamente assumersi le responsabilità politiche per non aver ascoltato le raccomandazioni della comunità scientifica.

(È notizia di pochi giorni fa che Il presidente del Cile, Sebastián Piñera, ha destituito il ministro della Salute, Jaime Mañalich, NdR).

Una questione che s’intreccia inevitabilmente con quella sanitaria è senza dubbio quella politica, si doveva votare a fine aprile il referendum per chiedere una nuova costituzione ma a causa della pandemia è stato rinviato al prossimo 25 ottobre. Ha dichiarato qualche mese fa che appena sarà passata l’emergenza sanitaria tornerete nelle piazze nelle strade più forti di prima, nonostante sarete ancora più precari, storditi e sofferenti. Ne è ancora convinta adesso che il Cile è stato travolto dal Coronavirus?

Il Coronavirus non ha fatto altro che confermare le differenze sociali denunciate a partire dal 18 ottobre dello scorso anno, quando è iniziato l’Estallido Social. Voglio pensare che il virus ci renderà ancora più coscienti del sistema economico nel quale viviamo che è profondamente ingiusto e ci darà la spinta per continuare la nostra lotta con ancora più forza, per cambiare definitivamente la costituzione Pinochetista e la sua eredità. Penso anche alle violazioni dei diritti umani, le persone ferite e mutilate e le morti perpetrate dalla polizia accadute dall’inizio delle manifestazioni e che ad oggi non hanno ancora dei colpevoli. Guardo al futuro fiduciosa e con la speranza di un vero cambiamento e credo che le manifestazioni che verranno nei prossimi mesi saranno energiche e rabbiose, anche se qualche volta il pessimismo prende il sopravvento.

Sinopsis Australis, associazione che si occupa d’arte contemporanea emergente tra Cile ed Italia, ha collaborato alla traduzione delle risposte dallo spagnolo all’italiano di Alejandra Costamagna.

Pubblicato su Left (17/07/2020)

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